39 Corpo bandistico operaio del 1925
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Gli anni che vanno dalla fine della prima guerra mondiale per tutto il decennio successivo segnano la crisi del vecchio corpo bandistico.
Il disastro del Gleno procura un’ulteriore colpo alla gente della zona e tutti lamentano la perdita di beni materiali. Anche l’allora maestro del corso allievi Santandrea scrive al consiglio direttivo della banda lamentandosi che oltre ad aver ricevuto poco o nulla come sussidio (rimborso spese) dal Comune dopo aver perduto tutto ciò che aveva nel disastro, non percepisce neppure uno stipendio per il suo lavoro di Maestro direttore degli allievi, cosa questa che fa trasparire come le casse del l’associazione musicale non fossero cosi floride.
Quasi certamente, inoltre, altri componenti della banda persero nel disastro o il loro strumento, o le partiture, o la divisa.
È facile cosi pensare come la banda in quegli anni si trovasse letteralmente in “acque agitate”.
Nel 1925, alla direzione dell’amministrazione comunale di Darfo c’era un Commissario Prefettizio, l’avvocato Aldo Pellegri, nominato non certo da una giunta democratica come oggi ma dalle autorità dell’allora potere del “Fascio”. Fu sua l’idea di istituire un nuovo corpo bandistico, come si legge nelle lettere da lui firmate, inviate dal Comune ai consigli amministrativi dei più grossi insediamenti industriali e commerciali della zona riguardanti la richiesta di aiuti e sovvenzioni monetarie per la fondazione di un nuovo corpo musicale.
È interessante notare come il Pellegri desse giustificazioni differenti sulla necessità di istituire una nuova banda a seconda di chi fosse l’interlocutore, quasi a seguirne tendenze o ideali per meglio plagiarne le decisioni. Pensiamo però che i reali motivi a cui mirava il Pellegri fossero quelli descritti nelle prime righe della lettera inviata al Sig. Comm. Ing. Carlo Tassara dove si parla appunto dell’idea di istituire una banda che potesse avere la funzione di aiutare e agevolare l’assimilazione nel territorio della causa fascista “… vista tuttora con certa diffidenza da parte di questa popolazione”.
La lettera prosegue con la convinzione da parte del Pellegri che “… una musica nostra a Darfo… favorirebbe la elevazione spirituale degli operai, elevazione che sino ad oggi culmina, dolorosamente nel litro.”, ma cosa più importante “… si potrebbe certo, mirare allo sgretolamento della locale fanfara pipista4 che mentre, modesta e sgangherata come è, ha il monopolio delle armonie. ”; insomma “… l’idea caldeggiata da molti valorosi amici è ottima ai fini patriottici e sociali. ”
Il disastro del Gleno procura un’ulteriore colpo alla gente della zona e tutti lamentano la perdita di beni materiali. Anche l’allora maestro del corso allievi Santandrea scrive al consiglio direttivo della banda lamentandosi che oltre ad aver ricevuto poco o nulla come sussidio (rimborso spese) dal Comune dopo aver perduto tutto ciò che aveva nel disastro, non percepisce neppure uno stipendio per il suo lavoro di Maestro direttore degli allievi, cosa questa che fa trasparire come le casse del l’associazione musicale non fossero cosi floride.
Quasi certamente, inoltre, altri componenti della banda persero nel disastro o il loro strumento, o le partiture, o la divisa.
È facile cosi pensare come la banda in quegli anni si trovasse letteralmente in “acque agitate”.
Nel 1925, alla direzione dell’amministrazione comunale di Darfo c’era un Commissario Prefettizio, l’avvocato Aldo Pellegri, nominato non certo da una giunta democratica come oggi ma dalle autorità dell’allora potere del “Fascio”. Fu sua l’idea di istituire un nuovo corpo bandistico, come si legge nelle lettere da lui firmate, inviate dal Comune ai consigli amministrativi dei più grossi insediamenti industriali e commerciali della zona riguardanti la richiesta di aiuti e sovvenzioni monetarie per la fondazione di un nuovo corpo musicale.
È interessante notare come il Pellegri desse giustificazioni differenti sulla necessità di istituire una nuova banda a seconda di chi fosse l’interlocutore, quasi a seguirne tendenze o ideali per meglio plagiarne le decisioni. Pensiamo però che i reali motivi a cui mirava il Pellegri fossero quelli descritti nelle prime righe della lettera inviata al Sig. Comm. Ing. Carlo Tassara dove si parla appunto dell’idea di istituire una banda che potesse avere la funzione di aiutare e agevolare l’assimilazione nel territorio della causa fascista “… vista tuttora con certa diffidenza da parte di questa popolazione”.
La lettera prosegue con la convinzione da parte del Pellegri che “… una musica nostra a Darfo… favorirebbe la elevazione spirituale degli operai, elevazione che sino ad oggi culmina, dolorosamente nel litro.”, ma cosa più importante “… si potrebbe certo, mirare allo sgretolamento della locale fanfara pipista4 che mentre, modesta e sgangherata come è, ha il monopolio delle armonie. ”; insomma “… l’idea caldeggiata da molti valorosi amici è ottima ai fini patriottici e sociali. ”
Anni '20: gita sul lago
Richiesta di partecipazione al Concorso Nazionale dei COrpi Bandistici dell'O.N.D. in programma
a Roma nell'aprile del 1926
a Roma nell'aprile del 1926
Trscrizione:
CORPO BANDISTICO OPERAIO DEL DOPOLAVORO DI BOARIO (DARFO)
All'onorevole Opera Nazionale del Dopolavoro Via Lucina, 17 - ROMA.
Oggetto: Domanda d'ammissione al concorso bandistico Nazionale.
Il sottoscritto Presidente del Corpo Bandistico Operaio del Dopolavoro, si scusa domandare a codesto Onorevole Opera Nazionale Dopolavoro, l'ammissione della Banda stessa al Concorso Nazionale indetto per i giorni 19, 20, 21 aprile c.a. in Roma, fra i COrpi Bandistici dell'O.N.D. . All'uopo, allega alla presente domanda, il prescritto organico strumentale.
In attesa di favorevole accoglimento della presente si scusa salutare fascisticamente.
Il Presidente del Corpo Bandistico.
Anni '20: manifestazione patriottica:
In altra maniera il Pellegri scrive al consiglio amministrativo della LEDOGA, giustificando la richiesta di denaro con lo scopo di ricostruire la “… vecchia Fanfara Comunale i cui elementi furono dispersi dal disastro del Gleno …” ricordando anche però i “… benefici morali che apporta alla massa operaia il rifiorire di una fanfara, i cui elementi sono tratti in maggioranza dagli operai stessi …”.
Il nostro “rincara la dose” richiedendo un raddoppio della cifra già elargita gli anni addietro alla vecchia fanfara “… tenuto conto delle specialissime condizioni in cui versa questa zona sinistrata da un terribile disastro.” Di certo sta bene attento il Pellegri a non menzionare l’auspicato “sgretolamento … ” della vecchia fanfara a chi l’aveva sostenuta fino ad allora.
La diplomazia del prefetto portò i suoi frutti. Tutti risposero positivamente contribuendo finanziariamente all’impresa. Dalle prime lettere di richiesta di aiuti finanziari datate luglio ‘25, passarono solo 3 mesi e la nuova banda era più che attiva con un organico strumentale già molto vasto, non certo da banda “scalcinata” ma in piena regola con i canoni, richiesti allora dalle nuove esigenze del regime, di pomposità e decoro. L’atto di nascita non è stato recuperato ma in un documento, presumibilmente dei primi mesi dell’anno 1926 riguardante una domanda di partecipazione al concorso bandistico nazionale organizzato dall’ “Opera Nazionale del Dopolavoro” che si doveva svolgere nell’aprile di quell’anno, vi si legge “Corpo Bandistico Operaio del Dopolavoro di Boario costituito il 23 settembre 1925”. Seguiva poi l’organico strumentale composto da ben 49 elementi.
È evidente che questo numero elevato di strumentisti già in grado di poter partecipare ad un concorso di livello nazionale (!) non poteva che essere il frutto dell’afflusso di gente proveniente dalla vecchia banda, come del resto aveva già preannunciato il Pellegri nella lettera a Carlo Tassara: “Molti dei suoi elementi, infatti, sono pronti a passare da noi con armi e bagagli”.
Una nuova epoca si era aperta per l’attività bandistica del comune. Se il desiderio di elevazione culturale, cui mirava il Pellegri, di distogliere la gente dal “litro” si avverò, non possiamo dirlo, ma che quello di poter costruire un importante organo di persuasione sulla gente in favore della causa del regime fascista fosse stato esaudito, non può negarlo nessuno.
Numerose sono le testimonianze e gli aneddoti raccolti che chiariscono l’ “aria” che tirasse in quegli anni e come erano i rapporti fra i musicanti e la direzione della banda.
In un’epoca in cui mancavano quasi del tutto i “mass media” del giorno d’oggi e quei pochi che esistevano erano completamente controllati dal potere del regime fascista, la banda assumeva un’importanza strategica come veicolo di diffusione culturale.
Logica, dunque, la volontà da parte del regime, di poter manovrare a suo piacimento anche questo tipo di attività sociale. Per mezzo di essa poteva assicurarsi il controllo della diffusione del repertorio musicale eliminando partiture “scomode”, per derivazione o riallacciamento a culture o politiche contrastanti, ed inserendone altre, propriamente del periodo, a carattere propagandistico della cultura fascista come marce e musiche militaristiche e coloniali.
Inoltre il controllo di queste associazioni permetteva di non lasciare la possibilità ad un gruppo di persone di associarsi in maniera autonoma scongiurando il pericolo della propagazione di idee considerate sovversive e la possibilità di organizzare movimenti antifascisti o politicamente e filosoficamente avversi al regime.
La banda allora fu chiamata “Banda Operaia del Dopolavoro”, essendo abbinata ad un’altra associazione allora molto caldeggiata dal regime che coinvolgeva i lavoratori delle ditte della zona. Il regime giocava d’anticipo riempiendo spazi e appropriandosene del controllo e in più poteva fregiarsi di filantropismo in modo alquanto demagogico. La banda smise così di essere una libera associazione come d’altronde, in tutta Italia, smise di essere libero anche tutto il resto.
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4: da PPI., "Partito Popolare Italiano" fondato da don Luigi Sturzo nel 1919
Il nostro “rincara la dose” richiedendo un raddoppio della cifra già elargita gli anni addietro alla vecchia fanfara “… tenuto conto delle specialissime condizioni in cui versa questa zona sinistrata da un terribile disastro.” Di certo sta bene attento il Pellegri a non menzionare l’auspicato “sgretolamento … ” della vecchia fanfara a chi l’aveva sostenuta fino ad allora.
La diplomazia del prefetto portò i suoi frutti. Tutti risposero positivamente contribuendo finanziariamente all’impresa. Dalle prime lettere di richiesta di aiuti finanziari datate luglio ‘25, passarono solo 3 mesi e la nuova banda era più che attiva con un organico strumentale già molto vasto, non certo da banda “scalcinata” ma in piena regola con i canoni, richiesti allora dalle nuove esigenze del regime, di pomposità e decoro. L’atto di nascita non è stato recuperato ma in un documento, presumibilmente dei primi mesi dell’anno 1926 riguardante una domanda di partecipazione al concorso bandistico nazionale organizzato dall’ “Opera Nazionale del Dopolavoro” che si doveva svolgere nell’aprile di quell’anno, vi si legge “Corpo Bandistico Operaio del Dopolavoro di Boario costituito il 23 settembre 1925”. Seguiva poi l’organico strumentale composto da ben 49 elementi.
È evidente che questo numero elevato di strumentisti già in grado di poter partecipare ad un concorso di livello nazionale (!) non poteva che essere il frutto dell’afflusso di gente proveniente dalla vecchia banda, come del resto aveva già preannunciato il Pellegri nella lettera a Carlo Tassara: “Molti dei suoi elementi, infatti, sono pronti a passare da noi con armi e bagagli”.
Una nuova epoca si era aperta per l’attività bandistica del comune. Se il desiderio di elevazione culturale, cui mirava il Pellegri, di distogliere la gente dal “litro” si avverò, non possiamo dirlo, ma che quello di poter costruire un importante organo di persuasione sulla gente in favore della causa del regime fascista fosse stato esaudito, non può negarlo nessuno.
Numerose sono le testimonianze e gli aneddoti raccolti che chiariscono l’ “aria” che tirasse in quegli anni e come erano i rapporti fra i musicanti e la direzione della banda.
In un’epoca in cui mancavano quasi del tutto i “mass media” del giorno d’oggi e quei pochi che esistevano erano completamente controllati dal potere del regime fascista, la banda assumeva un’importanza strategica come veicolo di diffusione culturale.
Logica, dunque, la volontà da parte del regime, di poter manovrare a suo piacimento anche questo tipo di attività sociale. Per mezzo di essa poteva assicurarsi il controllo della diffusione del repertorio musicale eliminando partiture “scomode”, per derivazione o riallacciamento a culture o politiche contrastanti, ed inserendone altre, propriamente del periodo, a carattere propagandistico della cultura fascista come marce e musiche militaristiche e coloniali.
Inoltre il controllo di queste associazioni permetteva di non lasciare la possibilità ad un gruppo di persone di associarsi in maniera autonoma scongiurando il pericolo della propagazione di idee considerate sovversive e la possibilità di organizzare movimenti antifascisti o politicamente e filosoficamente avversi al regime.
La banda allora fu chiamata “Banda Operaia del Dopolavoro”, essendo abbinata ad un’altra associazione allora molto caldeggiata dal regime che coinvolgeva i lavoratori delle ditte della zona. Il regime giocava d’anticipo riempiendo spazi e appropriandosene del controllo e in più poteva fregiarsi di filantropismo in modo alquanto demagogico. La banda smise così di essere una libera associazione come d’altronde, in tutta Italia, smise di essere libero anche tutto il resto.
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4: da PPI., "Partito Popolare Italiano" fondato da don Luigi Sturzo nel 1919
Anni '20: manifestazione patriottica.
28 agosto 1938. Commemorazione della battaglia di Ambawork sul Monte Altissimo.
Lettera del Commissario Prefettizio Aldo Pellegri indirizzata all'ingenier Carlo Tassara.
Aiuti finanziari.