Libro
41 Storie di un suonatore "suonato" e di impellenti bisogni
LibroSi racconta anche che durante una di queste processioni col Santo, mentre il corteo si inerpicava per le vie strette del paese recitando le orazioni, al tamburellista della Banda sopravvenne la necessità di assentarsi per soddisfare a impellenti bisogni fisiologici. Terminata la marcia in corso egli si staccò dal gruppo e iniziò la ricerca di un luogo “occulto” (cosa assai difficoltosa se si pensa a quanta gente affluisce al paese in questa occasione).
Dopo lungo e “doloroso” peregrinare finì per accomodarsi sotto una “gamba di vite” e diede il via al proprio lavoro. Nel frattempo la Banda, ripreso un po’ di fiato, cominciò un’altra marcia sfilando proprio nella stradina sottostante. L’eco giunse anche al musicante in altre faccende affaccendato che, rigido nel suo dovere, cominciò a scandire il tempo con la “tamburella” poggiata sul prato davanti a lui… Tutti i devoti sorpresi alzarono lo sguardo verso la fonte di quel ritmo melodioso e la delusione fu grande quando scoprirono che non era il “Coro degli Angeli” ad accompagnare la loro processione.
40 Opera Nazinale Dopolavoro
LibroGruppi musicali aderenti all'Opera Nazionale del Dopolavoro nella seconda metà degli anni '30.
Oltre alla banda sorta nel 1925, negli anni dal ‘37 all’inizio del secondo conflitto mondiale, l’O.N.D. di Darfo per mezzo dei dirigenti sig. Merello G. Battista e il cognato Prazzoli Attilio diede nuovo impulso alle varie attività culturali e ricreative (teatro‑musica-sport) istituendo dei corsi per strumenti che esulano dalla banda come chitarre, mandolini e fisarmoniche.
Le varie attività venivano finanziate con il ricavato delle proiezioni cinematografiche, riuscendo a rimanere, nonostante le pressioni, abbastanza autonomi dal partito fascista. Si formarono così due gruppi di cui uno di sole fisarmoniche e l’altro con prevalenza di strumenti a pizzico. Gli strumentisti provenivano da tutto il circondario (Sovere‑Lovere‑Pisogne‑Breno‑Esine ecc.) e saranno loro stessi propagatori dell’arte musicale nelle loro realtà e nelle loro famiglie. Parecchi dei figli di questi verranno “attaccati” dalla stessa passione ed essendo cambiati i tempi avranno la possibilità di ricevere una istruzione sicuramente più approfondita frequentando scuole specialistiche o il Conservatorio. Che la “passione” li travolse per tutta la vita ne è testimonianza il fatto che negli anni ‘70‑’80 operò a Darfo un complessino di mandolini, chitarre e fisarmonica, tornando ad allietare le feste e le serate organizzate dalle varie associazioni per anziani.
39 Corpo bandistico operaio del 1925
LibroIl disastro del Gleno procura un’ulteriore colpo alla gente della zona e tutti lamentano la perdita di beni materiali. Anche l’allora maestro del corso allievi Santandrea scrive al consiglio direttivo della banda lamentandosi che oltre ad aver ricevuto poco o nulla come sussidio (rimborso spese) dal Comune dopo aver perduto tutto ciò che aveva nel disastro, non percepisce neppure uno stipendio per il suo lavoro di Maestro direttore degli allievi, cosa questa che fa trasparire come le casse del l’associazione musicale non fossero cosi floride.
Quasi certamente, inoltre, altri componenti della banda persero nel disastro o il loro strumento, o le partiture, o la divisa.
È facile cosi pensare come la banda in quegli anni si trovasse letteralmente in “acque agitate”.
Nel 1925, alla direzione dell’amministrazione comunale di Darfo c’era un Commissario Prefettizio, l’avvocato Aldo Pellegri, nominato non certo da una giunta democratica come oggi ma dalle autorità dell’allora potere del “Fascio”. Fu sua l’idea di istituire un nuovo corpo bandistico, come si legge nelle lettere da lui firmate, inviate dal Comune ai consigli amministrativi dei più grossi insediamenti industriali e commerciali della zona riguardanti la richiesta di aiuti e sovvenzioni monetarie per la fondazione di un nuovo corpo musicale.
È interessante notare come il Pellegri desse giustificazioni differenti sulla necessità di istituire una nuova banda a seconda di chi fosse l’interlocutore, quasi a seguirne tendenze o ideali per meglio plagiarne le decisioni. Pensiamo però che i reali motivi a cui mirava il Pellegri fossero quelli descritti nelle prime righe della lettera inviata al Sig. Comm. Ing. Carlo Tassara dove si parla appunto dell’idea di istituire una banda che potesse avere la funzione di aiutare e agevolare l’assimilazione nel territorio della causa fascista “… vista tuttora con certa diffidenza da parte di questa popolazione”.
La lettera prosegue con la convinzione da parte del Pellegri che “… una musica nostra a Darfo… favorirebbe la elevazione spirituale degli operai, elevazione che sino ad oggi culmina, dolorosamente nel litro.”, ma cosa più importante “… si potrebbe certo, mirare allo sgretolamento della locale fanfara pipista4 che mentre, modesta e sgangherata come è, ha il monopolio delle armonie. ”; insomma “… l’idea caldeggiata da molti valorosi amici è ottima ai fini patriottici e sociali. ”
a Roma nell'aprile del 1926
Il nostro “rincara la dose” richiedendo un raddoppio della cifra già elargita gli anni addietro alla vecchia fanfara “… tenuto conto delle specialissime condizioni in cui versa questa zona sinistrata da un terribile disastro.” Di certo sta bene attento il Pellegri a non menzionare l’auspicato “sgretolamento … ” della vecchia fanfara a chi l’aveva sostenuta fino ad allora.
La diplomazia del prefetto portò i suoi frutti. Tutti risposero positivamente contribuendo finanziariamente all’impresa. Dalle prime lettere di richiesta di aiuti finanziari datate luglio ‘25, passarono solo 3 mesi e la nuova banda era più che attiva con un organico strumentale già molto vasto, non certo da banda “scalcinata” ma in piena regola con i canoni, richiesti allora dalle nuove esigenze del regime, di pomposità e decoro. L’atto di nascita non è stato recuperato ma in un documento, presumibilmente dei primi mesi dell’anno 1926 riguardante una domanda di partecipazione al concorso bandistico nazionale organizzato dall’ “Opera Nazionale del Dopolavoro” che si doveva svolgere nell’aprile di quell’anno, vi si legge “Corpo Bandistico Operaio del Dopolavoro di Boario costituito il 23 settembre 1925”. Seguiva poi l’organico strumentale composto da ben 49 elementi.
È evidente che questo numero elevato di strumentisti già in grado di poter partecipare ad un concorso di livello nazionale (!) non poteva che essere il frutto dell’afflusso di gente proveniente dalla vecchia banda, come del resto aveva già preannunciato il Pellegri nella lettera a Carlo Tassara: “Molti dei suoi elementi, infatti, sono pronti a passare da noi con armi e bagagli”.
Una nuova epoca si era aperta per l’attività bandistica del comune. Se il desiderio di elevazione culturale, cui mirava il Pellegri, di distogliere la gente dal “litro” si avverò, non possiamo dirlo, ma che quello di poter costruire un importante organo di persuasione sulla gente in favore della causa del regime fascista fosse stato esaudito, non può negarlo nessuno.
Numerose sono le testimonianze e gli aneddoti raccolti che chiariscono l’ “aria” che tirasse in quegli anni e come erano i rapporti fra i musicanti e la direzione della banda.
In un’epoca in cui mancavano quasi del tutto i “mass media” del giorno d’oggi e quei pochi che esistevano erano completamente controllati dal potere del regime fascista, la banda assumeva un’importanza strategica come veicolo di diffusione culturale.
Logica, dunque, la volontà da parte del regime, di poter manovrare a suo piacimento anche questo tipo di attività sociale. Per mezzo di essa poteva assicurarsi il controllo della diffusione del repertorio musicale eliminando partiture “scomode”, per derivazione o riallacciamento a culture o politiche contrastanti, ed inserendone altre, propriamente del periodo, a carattere propagandistico della cultura fascista come marce e musiche militaristiche e coloniali.
Inoltre il controllo di queste associazioni permetteva di non lasciare la possibilità ad un gruppo di persone di associarsi in maniera autonoma scongiurando il pericolo della propagazione di idee considerate sovversive e la possibilità di organizzare movimenti antifascisti o politicamente e filosoficamente avversi al regime.
La banda allora fu chiamata “Banda Operaia del Dopolavoro”, essendo abbinata ad un’altra associazione allora molto caldeggiata dal regime che coinvolgeva i lavoratori delle ditte della zona. Il regime giocava d’anticipo riempiendo spazi e appropriandosene del controllo e in più poteva fregiarsi di filantropismo in modo alquanto demagogico. La banda smise così di essere una libera associazione come d’altronde, in tutta Italia, smise di essere libero anche tutto il resto.
-------------------------------------------------------------------------------
4: da PPI., "Partito Popolare Italiano" fondato da don Luigi Sturzo nel 1919
38 Il Maestro Angelo Scalmana
LibroGià direttore della banda del 93° reggimento fanteria, lo troviamo tra i rifondatori nel 1923 della banda di Vestone in qualità di presidente e, dopo pochi mesi anche come maestro, dovendo il fratello Vittorino rinunciare per malattia.
Il carattere serio ed energico lo possiamo arguire oltre che dalle testimonianze dei vecchi musicanti darfensi, anche da una lettera pubblicata sul libro “Cento anni di Vestone e Nozza” (di Felice Mazzi edizione giugno 1988) nella quale Scalmana rassegna le dimissioni dalle cariche di maestro e di presidente constatata “… l’impossibilità, anche a costo di maggiori sacrifici, di portare la nostra musica ad un grado di istruzione e di affiatamento compatibile sia con l’importanza del paese sia con la mia dignità di vecchio maestro … ”
Lamentava insomma quella che a ricorsi ciclici è forse la malattia di tutte le bande.
E cioè “… la poca attività allo studio dei musicanti e la loro mancata frequenza alle prove … ”.
In quel periodo la banda darfense conobbe forse gli anni di maggior prestigio con 50‑60 elementi che si esibivano in impegnativi concerti.
Da una testimonianza che un nipote di Angelo, il Dr. Scalmana ci dà in una sua lettera, apprendiamo del notevole entusiasmo che aveva suscitato l’esecuzione del concerto della banda di Darfo “…in particolare di una magistrale GAZZA LADRA e di un riuscitissimo pezzo della BUTTERFLY diretta dallo zio, e della partenza al suono delle note della suggestiva marcia DARFO … ”.
Insomma un trionfo per la banda di Darfo.
37 Un servizio a ..... Ceto
LibroOltre alla grande passione per la musica, questo era “un motivo in più ” per entrare nelle file della banda.
Essi potevano così divertirsi senza spendere parte di quei pochi soldi di cui disponevano fino a giungere, senza dover sottostare a restrizione alcuna, a giustificare con il loro ruolo di musicanti le grandi abbuffate coronate da solenni ubriacature.
Questo comportamento si riscontrava soprattutto in occasione dei servizi religiosi per le feste del patrono dei vari paesi, che occupavano la banda per tutta la giornata.
Infatti durante la mattinata e nel primo pomeriggio il servizio era solitamente solenne e pomposo, in quanto si svolgevano la Santa Messa e la Processione; le cerimonie religiose quindi lasciavano spazio al divertimento, che portava la festa a divenire da sacra a profana.
Gino Tedeschi racconta che in occasione della festa patronale di Ceto, il tamburellista, per usufruire a pieno del vino offerto dalla gente, volle conservarne sotto la giacca per l’intera giornata un fiasco, curandosi più di questo che del suo stesso strumento che, sfuggitogli di mano, prese a rotolare per un viottolo in discesa fino a impigliarsi nel reticolato di un prato.
Solo al ritorno, sul treno, in mancanza delle generose offerte della popolazione, il protagonista della nostra storia pensò bene, “per bagnarsi il becco”, di aprire il fiaschetto cosi faticosamente custodito, constatando amaramente che il contenuto tanto bramato era puramente aceto.
Il comportamento smodato, non era certamente condiviso dalla maggior parte dei musicanti, e tanto meno dai dirigenti.
A riprova di ciò pubblichiamo integralmente la lettera di prospettate dimissioni di Tullio Fiorini.
Non siamo in grado di riportare i provvedimenti della direzione, ma visto che il Fiorini suonò ancora nella banda, pensiamo che in seguito le cose migliorarono, seppure qualche episodio sporadico di “solenni bevute” rimarrà fino ai giorni nostri.
Obb. Tullio Fiorini
36 Il falso arrivo del podestà
LibroSubito di fronte alla stazione ferroviaria ci fu un viavai di curiosi che vennero a raccogliersi attorno alla Banda e a tutte le Autorità del comune accorse per l’occasione, in attesa del fatidico treno.
La “suspence” era resa più sofferta dall’incalzare delle notizie che giungevano dalle varie stazioni lungo la ferrovia. Quando finalmente il treno giunse in stazione, un personaggio con cappello da coloniale, affacciatosi allo sportello di una carrozza, si vide assalire da autorità, avvocati, federali, gagliardetti delle varie associazioni e dal suono della banda.
Terrorizzato dall’accoglienza, il misterioso viaggiatore si rifugiò di nuovo precipitosamente nella carrozza. Si scoprì in seguito che il tanto atteso personaggio non era il Podestà, bensì un povero “scalvino”, anch’egli reduce dalla guerra.
La banda quel giorno non solo non poté attingere dal tavolo imbandito di Vermout (prezioso liquore per quel tempo) preparato per l’evento, ma dovette sopportare, come rincaro, il malumore dei dirigenti.
Il Podestà, si venne a sapere poi, si era fermato nel paese precedente per andare a trovare la moglie.
La tradizione del binomio Banda-Stazione è stata ripresa alcuni anni fa durante la manifestazione storica rievocativa del passaggio della “tradotta” che portava i soldati della prima guerra mondiale sul fronte dell’Adamello. Alla fermata della vecchia locomotiva a vapore alla stazione di Corna, la Banda era ancora lì presente. Per fortuna lo stato d’animo di tutti i presenti, soprattutto delle comparse che emulavano i soldati sul treno, era di tutt’altro genere rispetto a quello che si sarà vissuto in quei tragici momenti. Ma la Banda, questa volta per la felicità di tutti, ha fatto come da sempre il suo dovere.
35 La Banda e le stazioni ferroviarie
LibroLa sua presenza serviva a solennizzare l’evento, a sottolinearne il carattere patriottico ed a esprimere a chi partiva la vicinanza della gente; si cercava inoltre di dare a questi “eroi” un sostegno morale in un momento così triste, distogliendoli per un attimo dalla cruda realtà.
Le note allegre degli inni patriottici, infatti, contrastavano con il dramma che i protagonisti e le loro famiglie stavano vivendo.
La stessa aria di festa veniva poi ritrovata da chiunque avesse avuto la fortuna di tornare, indipendentemente dalle esperienze amare od esaltanti vissute in guerra.
Numerosi sono gli aneddoti legati alla presenza della banda nelle stazioni ferroviarie della zona.
Ci racconta ad esempio Gino Tedeschi, allora giovanissimo clarinettista della banda, che dopo una lunga attesa sulle panchine della stazione, al momento cruciale di “attaccare” la consueta “suonata” di benvenuto per il reduce di turno, due musicanti assorti nelle loro discussioni, con le spalle rivolte al maestro, furono richiamati da un terzo che per attirare la loro attenzione, disse scherzosamente: “Giü èn‑na du, giréga al cül a la stasciù”. La battuta procurò, con l’ilarità, una generale deconcentrazione, rovinando così l’importante momento magico dell’ “attacco” e l’atmosfera a cui il suono della banda doveva contribuire.
34 Musica al cinema della "casa del popolo"
LibroSantandrea
33 I funghi per l'insegnate di musica
LibroAl momento del suo ingresso nella banda il Tedeschi pensò di ringraziare il suo insegnante, il signor Treccani, per averlo iniziato al clarinetto. In mancanza di possibilità finanziarie, decise che gli avrebbe offerto dei funghi da lui stesso raccolti.
Con questo proposito, timoroso di non svegliarsi in tempo, quella sera si accordò con il padre perché l’indomani fosse chiamato di buon’ora, ma, per l’emozione, il mattino successivo non appena vide il chiarore della finestra, si incamminò verso il bosco.
Convinto che le persone che incontrava lungo la strada fossero operai del primo turno (in realtà erano gli ultimi ritardatari della sera precedente), intraprese il sentiero che portava in montagna, finché giunto a metà, accadde una cosa che lo turbò non poco: la luna piena che già era coperta dalle nubi, scomparve del tutto, lasciandolo al buio.
Essendo di natura poco coraggioso, ma trovandosi vicino ad un luogo che ben conosceva , vi si recò con la speranza di sentirsi più al sicuro; appoggiato cosi colla schiena ad un “sòc”, e restando in guardia con un bastone in mano, attese l’arrivo dell’alba.
Naturalmente la ricerca, effettuata alle prime luci, fu molto fruttuosa, e lasciò deluse e sorprese (dal fatto che qualcuno le avesse precedute) le persone che di buon mattino si recavano in quella zona in cerca di funghi.
Il Gino, naturalmente ben nascosto per paura di “pesanti critiche”, stette ad ascoltare attentamente le congetture degli abituali cercatori su chi avesse potuto fare loro un simile scherzo.
Un’ora dopo il rientro, il padre, che non lo aveva trovato nel letto all’ora stabilita, gli chiese dove fosse stato, ed a questa domanda il ragazzo raccontò la sua avventura.
Naturalmente i funghi fecero molto piacere al maestro, che li gustò tranquillamente, ignaro della loro storia movimentata.
32 Un altro "oriundo" si aggiunge alla Banda di Darfo
LibroInoltre il Treccani per molti anni sarà anche riparatore di tutti gli strumenti della banda. Aveva allestito in casa una piccola ma fornitissima officina, e dopo il suo turno di lavoro all’Olcese, con molta passione e con la sua proverbiale precisione, riparava ogni tipo di strumento.
Questo permetteva alla Banda, oltre ad avere gli strumenti rimessi a nuovo nel giro di pochi giorni (a volte solo di ore), un notevole risparmio, non dovendo far capo ai riparatori di Brescia.