Vorrei spezzare una lancia (e non l'ancia) a favore della pausa centrale. Mi ricordo, trentacinque anni fa, che per me, bandista nuovo nuovo, quattordicenne, trovarsi al cospetto di signori che mi parevano tutti attempati, alteri, austeri, fin'anco distinti (delle volte ...), mi dava l'impressione di essere capitato al Circolo Pensionati e Anziani più che in una banda. La pausa centrale era sacra ! Magari, vista l'età media e l'assenza totale di componenti dell'altra metà del cielo, i problemi alla prostata avranno avuto un certo peso sull'importanza di un momento di "tregua", ma ai tempi la questione mi sfuggiva, da questo punto di vista. I pochi ragazzi della mia generazione, si conoscevano già perlopiù grazie ai corsi, ma tutti questi musicanti (se Denis mi seguirà a ruota, aprirò un post apposta di supplemento .... su un postit ... , suppongo ! in merito al vocabolo musicante/musicista, perchè mi interessa il suo parere approfondito) erano per me un motivo di titubanza nei miei comportamenti. Ero impacciato a rapportarmi con loro liberamente, non sapevo come rapportarmi, fin dove potevo spingermi con la confidenza, quali reazioni avrebbero avuto.
Meno male che c'era la pausa centrale !
Se non ci fosse stata mi sarei perso almeno un paio d'anni di divertimento. Si, divertimento perchè in effetti, quando hai confidenza con le persone, il rapporto di amiciza ti permette di "riderci su" a tutte quelle sfumature di carattere che altrimenti ti perderesti. I bandisti di allora, quelli anziani, con tutti i loro pregi e difetti, quando erano in banda, erano tutti dei simpaticoni e le mie remore erano immotivate. Durante la pausa questi signori avevano modo di interagire con noi mostrando il loro lato "giovialone" e disponibile verso noi giovinastri (a quell'epoca "cappelloni", "contestatori", "sfaticati", "pusillanimi" e non aggiungo di peggio ...). In genere, il primo argomento per attacar bottone, era di tipo "enologico", cioè ti davano in mano la scodella o il bicchiere e ti chiedevano di andare a dargli una risciacquata e, naturalmente, una "riempita". Ciò permetteva loro di inquadrare il tipo di giovinastro che eri in base alla reazione che avevi; se non protestavi e se ti vedevano scolare il primo bicchiere prima di riempirlo per loro, eri accettato immediatamente nel "Golgota" privilegiato di chi non beveva aranciata (che in effetti, a quell'epoca ne girava assai poca). Ciò scatenava una sequela di commenti di approvazione nel gruppo dei veterani che ti dava subito la certezza di essere ormai nel "gruppo". E da lì in poi ogni sera di prove, era sempre una serata di divertimento, tra i commenti strampalati e gogliardici di quei signori che, in fondo, non erano né alteri, né austeri né tantomeno distinti (sempre nell'ambiente "banda", beninteso), attempati si, però. Così come lo siamo adesso io e i miei colleghi della mia generazione (anche se non pensionati) e non è la prima volta che tra di noi ci chiediamo ".. ma cosa penseranno di noi i ragazzi nuovi ? " . Oggi non c'è tanto da dir loro di andarti a lavre il bicchiere e di versarti da bere, ... altri tempi ... , ma guardandoli mi sembra di riconoscere ancora le mie incertezze, l'imbarazzo, l'esitazione nel "rompere" quella barriera di distacco formale, come un velo invisibile, trasparente ma che percepisci quando provi a guardarli negli occhi, quando incroci il loro sguardo. O quando provi a scambiare due parole, loro ti guardano, usano il minimo di vocaboli possibili per rispondere, e poi si girano verso il loro coetaneo che è imbarazzato tanto come l'amico casualmente incappato in questo "contatto del secondo tipo" con un "alieno senior" come me. Certo non sarò un campione di simpatia, certo avrò un aspetto inquietante, ma mi risulta che anche altri miei coetanei ricevano analogo trattamento. Io arrivo sempre con un po' di ritardo (mea culpa) e i più giovani, vuoi per il trasporto o per l'orario, sono i primi che escono. Io a tutt'oggi faccio fatica a ricordarmi i nomi di almeno metà banda (nulla di strano, dirà chi conosce la mia potente memoria) perchè non ho mai l'opportunità di chiamare per nome i ragazzi, anche solo con un pretesto qualsiasi (a parte i miei giovanissimi colleghi percussionisti, che ormai mi conoscono BENE .. poveri loro...). E' chiaro, ci sono anche le gite, i gemellaggi, i momenti ricreativi che aiutano, ma non capitano di certo con la stessa frequenza delle prove settimanali. Una banda non è solo "macchina da concerti perfetti", è una microsocietà, complessa, che basa la sua attività sul semplice volontariato, quindi è basilare il buon rapporto di amicizia tra i suoi componenti; basta poco per "sballare" anche la più apparentemente solida convivenza, che si basa su regole ben definite ma soprattutto sul divertimento. Ad un appassionato "volontario", togli il divertimento e hai tolto lo scopo di appartenere ad una associazione; nessuno ti paga per quello che fai. Credo che sia chiaro a tutti che fra amici ci si diverte di più. Ma non solo, fra amici anche la discussione su idee divergenti è meno problematica. Se conosci bene una persona, conosci la sua storia, impari a stimarlo. Le normali divergenze che la convivenza sociale di molte persone porta inevitabilmente a creare sono più gestibili se affrontate da persone che si stimano. Capiterà anche di alzare la voce, di discutere animatamente, ma il momento per il sorriso, in una banda, capita sempre, prima o poi.
Certo Denis, e naturalmente anche il Vittorio (visto che la nostra banda NON fa la pausa centrale) hanno esigenze tecnico/artistiche a cui devono far fronte per il lavoro di loro competenza, il tempo per le prove sembra sempre poco, la data del concerto sembra sempre vicina, gli errori dei musicanti sembrano perennemente presenti, li capisco. Ma i miei trentacinque anni di banda non me li toglierà più nessuno dal cuore, non solo per i meritati successi ottenuti sui palchi, ma soprattutto per i momenti di spensierata e convinta allegria a fianco dei miei migliori amici.
Ah, dimenticavo, la questione delle marcette.
Il Calvo, nella sua veste di Capobanda e responsabile della questione organizzativa dei servizi civili e religiosi, è da tempo che implora il Vittorio di cambiare le marce nel libretto. l'60% di queste le stò suonando da trent'anni, il 30% da vent'anni e il rimanente non le suoniamo mai ! Ormai, durante le processioni e le sfilate, non abbaiano più neanche i cani nei giardini a cui passiamo accanto, le conoscono a memoria anche loro, e i partecipanti foresti che seguono in fila dicono tra loro : "... arda che cani educati che hanno qui a Darfo, te che roba !" Forse, provando qualche marcetta, con l'alibi di suonarle intanto che si aspetta "qualcuno" (!!!!), senza rubare tempo ai brani da concerto, magari ci decidiamo a fare questo "piccolo passo per il libretto" ma "enorme balzo" per la banda di Darfo. Sono daccordo per gli esercizi di intonazione ma, a mali estremi, estremi rimedi.
W la pausa
Vorrei spezzare una lancia (e non l'ancia) a favore della pausa centrale.
Mi ricordo, trentacinque anni fa, che per me, bandista nuovo nuovo, quattordicenne, trovarsi al cospetto di signori che mi parevano tutti attempati, alteri, austeri, fin'anco distinti (delle volte ...), mi dava l'impressione di essere capitato al Circolo Pensionati e Anziani più che in una banda.
La pausa centrale era sacra !
Magari, vista l'età media e l'assenza totale di componenti dell'altra metà del cielo, i problemi alla prostata avranno avuto un certo peso sull'importanza di un momento di "tregua", ma ai tempi la questione mi sfuggiva, da questo punto di vista.
I pochi ragazzi della mia generazione, si conoscevano già perlopiù grazie ai corsi, ma tutti questi musicanti (se Denis mi seguirà a ruota, aprirò un post apposta di supplemento .... su un postit ... , suppongo ! in merito al vocabolo musicante/musicista, perchè mi interessa il suo parere approfondito) erano per me un motivo di titubanza nei miei comportamenti. Ero impacciato a rapportarmi con loro liberamente, non sapevo come rapportarmi, fin dove potevo spingermi con la confidenza, quali reazioni avrebbero avuto.
Meno male che c'era la pausa centrale !
Se non ci fosse stata mi sarei perso almeno un paio d'anni di divertimento.
Si, divertimento perchè in effetti, quando hai confidenza con le persone, il rapporto di amiciza ti permette di "riderci su" a tutte quelle sfumature di carattere che altrimenti ti perderesti.
I bandisti di allora, quelli anziani, con tutti i loro pregi e difetti, quando erano in banda, erano tutti dei simpaticoni e le mie remore erano immotivate.
Durante la pausa questi signori avevano modo di interagire con noi mostrando il loro lato "giovialone" e disponibile verso noi giovinastri (a quell'epoca "cappelloni", "contestatori", "sfaticati", "pusillanimi" e non aggiungo di peggio ...).
In genere, il primo argomento per attacar bottone, era di tipo "enologico", cioè ti davano in mano la scodella o il bicchiere e ti chiedevano di andare a dargli una risciacquata e, naturalmente, una "riempita".
Ciò permetteva loro di inquadrare il tipo di giovinastro che eri in base alla reazione che avevi; se non protestavi e se ti vedevano scolare il primo bicchiere prima di riempirlo per loro, eri accettato immediatamente nel "Golgota" privilegiato di chi non beveva aranciata (che in effetti, a quell'epoca ne girava assai poca).
Ciò scatenava una sequela di commenti di approvazione nel gruppo dei veterani che ti dava subito la certezza di essere ormai nel "gruppo".
E da lì in poi ogni sera di prove, era sempre una serata di divertimento, tra i commenti strampalati e gogliardici di quei signori che, in fondo, non erano né alteri, né austeri né tantomeno distinti (sempre nell'ambiente "banda", beninteso), attempati si, però.
Così come lo siamo adesso io e i miei colleghi della mia generazione (anche se non pensionati) e non è la prima volta che tra di noi ci chiediamo ".. ma cosa penseranno di noi i ragazzi nuovi ? " .
Oggi non c'è tanto da dir loro di andarti a lavre il bicchiere e di versarti da bere, ... altri tempi ... , ma guardandoli mi sembra di riconoscere ancora le mie incertezze, l'imbarazzo, l'esitazione nel "rompere" quella barriera di distacco formale, come un velo invisibile, trasparente ma che percepisci quando provi a guardarli negli occhi, quando incroci il loro sguardo.
O quando provi a scambiare due parole, loro ti guardano, usano il minimo di vocaboli possibili per rispondere, e poi si girano verso il loro coetaneo che è imbarazzato tanto come l'amico casualmente incappato in questo "contatto del secondo tipo" con un "alieno senior" come me.
Certo non sarò un campione di simpatia, certo avrò un aspetto inquietante, ma mi risulta che anche altri miei coetanei ricevano analogo trattamento.
Io arrivo sempre con un po' di ritardo (mea culpa) e i più giovani, vuoi per il trasporto o per l'orario, sono i primi che escono.
Io a tutt'oggi faccio fatica a ricordarmi i nomi di almeno metà banda (nulla di strano, dirà chi conosce la mia potente memoria) perchè non ho mai l'opportunità di chiamare per nome i ragazzi, anche solo con un pretesto qualsiasi (a parte i miei giovanissimi colleghi percussionisti, che ormai mi conoscono BENE .. poveri loro...).
E' chiaro, ci sono anche le gite, i gemellaggi, i momenti ricreativi che aiutano, ma non capitano di certo con la stessa frequenza delle prove settimanali.
Una banda non è solo "macchina da concerti perfetti", è una microsocietà, complessa, che basa la sua attività sul semplice volontariato, quindi è basilare il buon rapporto di amicizia tra i suoi componenti; basta poco per "sballare" anche la più apparentemente solida convivenza, che si basa su regole ben definite ma soprattutto sul divertimento.
Ad un appassionato "volontario", togli il divertimento e hai tolto lo scopo di appartenere ad una associazione; nessuno ti paga per quello che fai.
Credo che sia chiaro a tutti che fra amici ci si diverte di più. Ma non solo, fra amici anche la discussione su idee divergenti è meno problematica.
Se conosci bene una persona, conosci la sua storia, impari a stimarlo. Le normali divergenze che la convivenza sociale di molte persone porta inevitabilmente a creare sono più gestibili se affrontate da persone che si stimano.
Capiterà anche di alzare la voce, di discutere animatamente, ma il momento per il sorriso, in una banda, capita sempre, prima o poi.
Certo Denis, e naturalmente anche il Vittorio (visto che la nostra banda NON fa la pausa centrale) hanno esigenze tecnico/artistiche a cui devono far fronte per il lavoro di loro competenza, il tempo per le prove sembra sempre poco, la data del concerto sembra sempre vicina, gli errori dei musicanti sembrano perennemente presenti, li capisco.
Ma i miei trentacinque anni di banda non me li toglierà più nessuno dal cuore, non solo per i meritati successi ottenuti sui palchi, ma soprattutto per i momenti di spensierata e convinta allegria a fianco dei miei migliori amici.
Ah, dimenticavo, la questione delle marcette.
Il Calvo, nella sua veste di Capobanda e responsabile della questione organizzativa dei servizi civili e religiosi, è da tempo che implora il Vittorio di cambiare le marce nel libretto.
l'60% di queste le stò suonando da trent'anni, il 30% da vent'anni e il rimanente non le suoniamo mai !
Ormai, durante le processioni e le sfilate, non abbaiano più neanche i cani nei giardini a cui passiamo accanto, le conoscono a memoria anche loro, e i partecipanti foresti che seguono in fila dicono tra loro : "... arda che cani educati che hanno qui a Darfo, te che roba !"
Forse, provando qualche marcetta, con l'alibi di suonarle intanto che si aspetta "qualcuno" (!!!!), senza rubare tempo ai brani da concerto, magari ci decidiamo a fare questo "piccolo passo per il libretto" ma "enorme balzo" per la banda di Darfo.
Sono daccordo per gli esercizi di intonazione ma, a mali estremi, estremi rimedi.