Nell'anno del 150° anniversario dalla nascita di Giacomo Puccini, la Banda di Darfo Boario Terme inserisce nel proprio repertorio "Fantasy from Turandot" un arrangiamento della complessa opera lirica.
Il Mandarino legge l'Editto imperiale per cui la principessa Turandot sposerà chiunque, di sangue reale, riuscirà a risolvere tre enigmi. Chi fallisse sarà però decapitato, ed è quanto sta per accadere all'ultimo pretendente, il principe di Persia. Ma in quel frangente giungono Timur, il vecchio re tartaro spodestato ed ormai cieco, suo figlio Calaf (tenore) e la sua schiava Liù, innamorata di Calaf. Turandot appare per negare la grazia al Principe di Persia, Calaf la vede e se ne innamora. Egli perciò decide di tentare la prova, presentandosi come "Principe Ignoto". Turandot pertanto propone solennemente gli enigmi, e per la sua disperazione Calaf riesce a risolverli tutti. Egli viene dichiarato vincitore e può sposare Turandot, ma non volendo averla a forza propone a sua volta un enigma alla principessa: se riuscirà a scoprire il suo nome prima dell'alba non dovrà più sposarlo, ed il Principe si offrirà al boia. Turandot cerca in ogni modo di sapere il nome di colui che l'ha sconfitta, anche ricorrendo alla tortura degli schiavi. Calaf, rimasto solo con la Principessa la bacia appassionatamente e questo bacio scoglie di colpo la crudeltà e la resistenza di lei, turbandola a tal punto che Turandot invita Calaf a partire per sempre. Ma lui, di tutto contrario, le rivela il suo nome, dandole la possibilità di farlo giustiziare. Arriva l'alba, e la principessa dichiara davanti al popolo ed all'Imperatore che conosce il nome dell'Ignoto. Un brivido di morte serpeggia tra i presenti, ma Turandot continua: "il suo nome è Amore". I due innamorati si ricongiungono.
C'è da dire che la partitura pucciniana rimase incompiuta a causa della prematura scomparsa dell'autore, stroncato nel novembre del 1924 da un tumore maligno alla gola. Del finale pucciniano restavano solo alcuni abbozzi per cui l'editore Ricordi decise, su pressione di Arturo Toscanini e di Tonio, il figlio di Giacomo, di affidare la composizione a Franco Alfano. L'esito fu molto discusso e mai del tutto approvato a tal punto che, alla prima rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano, il 25 aprile 1926, sotto la direzione di Arturo Toscanini, egli decise di arrestare l'opera a metà del terzo atto, là dove Giacomo Puccini l'aveva lasciata, sussurrando commosso al pubblico le parole: "Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto".