Allora se non sapete rispondere metto qualche notizia per ampliare il bagaglio culturale musicale..... Lo strumento si chiama TAROGATO L'etimologia del nome tarogato (taragot, tàrogatò) è controversa come le sue origini. Attualmente questi termini indicano uno strumento aerofono ad ancia semplice della musica popolare ungherese. Gia' dal 16° secolo i cronisti ungheresi citano il tarogato, ma il suono dello strumento di allora non ha più nulla in comune con il timbro degli strumenti odierni. Gli ungheresi, per secoli, hanno chiamato tarogatò un altro strumento: la zurna asiatica, uno strumento di tipo turco-iraniano che appare in Europa già dal 13° secolo, durante l'espansione dell' impero ottomano, utilizzato come oboe da guerra. Questo strumento fu adottato dai Magiari, dai Romeni e dai Moldavi fin dal 17° secolo e fu chiamato Toroksip, mentre il termine tàrogatò designava tutti gli strumenti della famiglia dello chalumeau. Anche gli Ungheresi utilizzarono il tarogatò come strumento da campo facendolo divenire simbolo del movimento nazionale di liberazione contro l' impero asburgico. L'aspirazione d'adattare lo strumento alle esigenze sonore ed estetiche moderne, spinse il costruttore Jòszef Schunda verso il 1894 ad una radicale modifica: il tàrogatò fu munito d'alcune chiavi, ridimensionato nel canneggio, munito di un piccolo bocchino ad ancia semplice, simile a quello del clarinetto ma con una camera a doppia conicità. Risulta un po' un misto tra oboe e sax soprano. Un modello a doppia ancia o a "bocchino di tromba" sopravvisse per lungo tempo. Il tàrogatò moderno viene "tagliato" in si bemolle, in la bemolle e in do, tutti ugualmente usati. Meccanicamente adotta soluzioni tecniche derivate dal Clarinetto (sistema Muller), dal Sassofono, dall'Oboe e dal Fagotto. Da questi strumenti ha ricevuto in eguale misura: per maneggio, sonorità ed estetica. Ha un'estensione (presunta) di due ottave più una quinta ed un corista che si aggira intorno ai 438 hertz. Viene impermeabilizzato nella pece.
Allora se non sapete
Allora se non sapete rispondere metto qualche notizia per ampliare il bagaglio culturale musicale.....
Lo strumento si chiama TAROGATO
L'etimologia del nome tarogato (taragot, tàrogatò) è controversa come le sue origini. Attualmente questi termini indicano uno strumento aerofono ad ancia semplice della musica popolare ungherese.
Gia' dal 16° secolo i cronisti ungheresi citano il tarogato, ma il suono dello strumento di allora non ha più nulla in comune con il timbro degli strumenti odierni.
Gli ungheresi, per secoli, hanno chiamato tarogatò un altro strumento: la zurna asiatica, uno strumento di tipo turco-iraniano che appare in Europa già dal 13° secolo, durante l'espansione dell' impero ottomano, utilizzato come oboe da guerra.
Questo strumento fu adottato dai Magiari, dai Romeni e dai Moldavi fin dal 17° secolo e fu chiamato Toroksip, mentre il termine tàrogatò designava tutti gli strumenti della famiglia dello chalumeau.
Anche gli Ungheresi utilizzarono il tarogatò come strumento da campo facendolo divenire simbolo del movimento nazionale di liberazione contro l' impero asburgico.
L'aspirazione d'adattare lo strumento alle esigenze sonore ed estetiche moderne, spinse il costruttore Jòszef Schunda verso il 1894 ad una radicale modifica: il tàrogatò fu munito d'alcune chiavi, ridimensionato nel canneggio, munito di un piccolo bocchino ad ancia semplice, simile a quello del clarinetto ma con una camera a doppia conicità.
Risulta un po' un misto tra oboe e sax soprano.
Un modello a doppia ancia o a "bocchino di tromba" sopravvisse per lungo tempo.
Il tàrogatò moderno viene "tagliato" in si bemolle, in la bemolle e in do, tutti ugualmente usati.
Meccanicamente adotta soluzioni tecniche derivate dal Clarinetto (sistema Muller), dal Sassofono, dall'Oboe e dal Fagotto. Da questi strumenti ha ricevuto in eguale misura: per maneggio, sonorità ed estetica.
Ha un'estensione (presunta) di due ottave più una quinta ed un corista che si aggira intorno ai 438 hertz.
Viene impermeabilizzato nella pece.
(tratto da un testo a cura di Paolo Gavelli)
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