Non sarò breve (come al solito !) Siete pronti ? Posso andare ? Via ...
Nel 1971, durante il mio fantastico periodo di vita in Toscana, in prima media, con un bravissimo prof. di musica, ho avuto il mio primo contatto con uno strumento musicale : il flauto dolce. Allora non era una cosa così diffusa fare musica "suonata" in classe con strumenti musicali. Il prof. chiese (non era obbligatorio) se qualche studente di buona volontà volesse provare l'avventura di suonare uno strumento. Ne parlai a casa, un pò titubante. Mia sorella, alcuni giorni dopo, mi regalò il "flautino" di sua iniziativa e credo che questo sia stato uno dei punti salienti della mia infanzia. Non fu facile per me, avevo perso da poco in un incidente la prima falange dell'indice sinistro e il mio Prof., con pazienza (e per non deludermi, visto che ero uno dei due che avevano comprato lo strumento), mi insegnò ad usare il mignolo, facendo "slittare" la diteggiatura di un dito, escludendo l'indice. Un flauto in legno di pero con il quale debuttai nel mio "battesimo del pubblico", accompagnato in duetto dal mio migliore amico, che coinvolsi nell'avventura, e di due coetanee alle percussioni. Fu all'Hotel Principe di Piemonte, a Viareggio, durante un saggio con altri giovani strumentisti, non ricordo se del conservatorio o di un'accademia privata. Conservo ancora la foto che ci immortalava, noi quattro sul palco di una sala di un'ambiente lussuosissimo, che fu scelta per illustrare l'articolo che comparve il giorno dopo sul giornale della zona. Mi ricordo ancora lo stupore di trovarmi davanti ad un pubblico fatto di signore impellicciate e signori sfarzosamente vestiti e da mia madre, in un cantuccio in fondo, quasi vergognandosi del suo cappottino grigio e due ciabatte ai piedi, che mai e poi mai si sarebbe immaginata di capitare in un ambiente del genere. Al mio arrivo a Darfo, l'anno dopo in estate, la banda di Darfo venne a suonare sotto casa mia. Stava facendo il giro degli alberghi e il mio terrazzo dava sulla piazzetta di Montecchio di fronte ad un albergo oggi chiuso. Fu mia madre (memore e orgogliosa dei miei illustri passati da musicista !) che mi fece balenare in testa l'idea di aggregarmi al gruppo. In Banda già suonava il Raffaele, il flauto traveso (di lui e della sua amicizia ho già scritto in un altro post). Ero appena arrivato, adolescente, in un ambiente, non dico sconosciuto ma tutto da scoprire, e tramite Raffaele colsi al volo l'occasione per inserirmi in un gruppo e continuare a coltivare la mia passione per la musica. Naturalmente volevo suonare il flauto traverso. Tra l'altro, in quel periodo, ascoltavo musica come quella dei Jethro Tull e Ian Anderson era un punto di riferimento per invogliare la gente a suonare quel meraviglioso strumento. Passato un periodo piuttosto lungo di teoria (una volta usava così, si usava solo il flauto dolce) arrivò il momento dell'assegnazione dello strumento. Non era scontato come adesso che ognuno si comprasse il suo strumento; in genere si usava quello della banda, chi voleva naturalmente se lo comprava, ma il primo approccio era sempre con uno strumento dell'associazione. Era una sera delle prove, nella stanzina delle caldaie della vecchia scuola elementare, e intanto che gli altri si sistemavano fra i leggii in legno del palchetto a gradoni, il Mo. Salvini con accanto il Vittorio, mi chiamarono e mi mostrarono la custodia dello strumento che mi era stato assegnato. Era un pò grossa per essere quella di un flauto ma la forma era un parallelepipedo di circa 15x15 cm di lato e mezzo metro di lunghezza. Non l'avevo mai vista una forma così, di sicuro un flauto ci sarebbe stato benissimo, anche due, in lunghezza, senza smontarli. Ancora prima di aprire la custodia il Mo. Salvini incominciò a dirmi quanto ero fortunato ad avere la possibilità di usare uno strumento nuovo (in effetti era stato appena acquistato) e di così grande importanza nella banda, con Vittorio che rincarava la dose entusiasta. Aperta la scatola finalmente vidi lo strumento ma restai un tantinello sorpreso. Quello strumento lì non l'avevo mai visto. O perlomeno assomigliava ad altri già visti ma avevano tutti una forma molto diversa. Era un sax soprano. Il Mo. montò il bocchino e mi diede in mano il sax. Nel momento in cui provai a mettere le dita sui tasti, il flauto traverso era già sparito dai miei pensieri. Penso che il fatto che fosse nuovo di zecca, tutto luccicante, con quella meccanica così piena di leve, levette, tasti e tastini "oro e argento", influì non poco sul colpo di fulmine che mi colse. Tempo dopo, passato l'esame del terzo anno del corso AMBIMA, il mio ingresso in banda con in mano il mio sax soprano, fu per me un'altro punto saliente della mia vita. Col tempo ho capito che la scelta del Mo. era dovuta al fatto che con il mio indice sinistro ridotto a metà, quello era forse l'unico "legno" che potevo usare. Avrà pensato di non "stravolgermi" troppo le aspirazioni da flautista assegnandomi un ottone (con il quale avrei risolto il mio problema di diteggiatura). Sta di fatto che però non fu di nuovo facile re-imparare una diteggiatura facendo "slittare" ancora l'uso delle dita, solo che questa volta l'indice prendeva il posto del medio, il medio prendeva il posto dell'anulare e il mignolo andava a fare un lavoro che non centrava niente con quello che faceva con il flauto dolce. Ma mi ero talmente innamorato di quel strumento che ero disposto a superare qualsiasi difficoltà. Fu forse questo spirito d'iniziativa di "rompere" schemi mentali acquisiti sull'uso delle mani che mi spinse ad imparare a suonare la chitarra, pur non essendo affatto mancino, all'incontrario (con il manico a destra, non con le corde verso la pancia, naturally !). Sempre a quell'epoca comprai una chitarra sgangherata di seconda mano per 20.000 lire e gli girai il ponticello e le corde. Poi, da autodidatta, ho incominciato strimpellare quel tanto che bastava per andare in giro con gli amici a far baldoria. Dopo 20 anni di sax (pochi col soprano e gli altri col tenore) la crisi di identità come suonatore di sax. Non mi dilungo (per fortuna ! direte voi) sui motivi. Meno di un anno di tormento lontano dalla banda e poi il mio approdo alle percussioni, fino ai giorni nostri. E sono pienamente felice di questa scelta. Suonare le percussioni mi da la possibilità di "sentire" la partitura che si sta suonando con una intensità emotiva che non ho mai provato quando ero concentrato a seguire una linea melodica con il sax. Mi sento molto più "dentro" la partitura, posso apprezzare di più la struttura del brano e capirne meglio lo spirito. Penso che l'unico, oltre ai percussionisti, che riesce a percepire la stessa cosa ed a capire cosa intendo sia il Mo. direttore. Il percussionista è certamente impegnato a seguire una partitura specifica dello strumento, ma con il cervello "può" anche percepire l'intera struttura melodico/armonica del brano eseguita da tutti gli altri strumentisti. Questo grazie al fatto che la sua mente non è impegnata ad elaborare tecnicamente il movimento delle dita e l'emissione del fiato su una linea melodica del suo strumento. E in più è perfettamente cosciente (almeno, tutti gli altri lo sperano vivamente) della trama ritmica che pervade il momento musicale. Non credo di essermi spiegato bene ma vi chiedo di credermi sulla parola; oggi sono stra-contento di suonare le percussioni. Provo molta più soddisfazione di quando suonavo il sax. Non è per il fatto di avere una capacità diversa di tecnica strumentale tra il sax e le percussioni. Il mio talento arriva "fino lì" con le percussioni come arrivava "fino lì" col sax. Ma oggi riesco a trovare nel suonare insieme agli altri un qualcosa in più. Magari Saremo e Dam possono capirmi, anche se non hanno fatto 20 anni di strumento melodico come me. O forse con l'età sono diventato più "fuori di zucca" del normale.
Strumento a sorpresa
Non sarò breve (come al solito !)
Siete pronti ? Posso andare ? Via ...
Nel 1971, durante il mio fantastico periodo di vita in Toscana, in prima media, con un bravissimo prof. di musica, ho avuto il mio primo contatto con uno strumento musicale : il flauto dolce.
Allora non era una cosa così diffusa fare musica "suonata" in classe con strumenti musicali.
Il prof. chiese (non era obbligatorio) se qualche studente di buona volontà volesse provare l'avventura di suonare uno strumento.
Ne parlai a casa, un pò titubante.
Mia sorella, alcuni giorni dopo, mi regalò il "flautino" di sua iniziativa e credo che questo sia stato uno dei punti salienti della mia infanzia.
Non fu facile per me, avevo perso da poco in un incidente la prima falange dell'indice sinistro e il mio Prof., con pazienza (e per non deludermi, visto che ero uno dei due che avevano comprato lo strumento), mi insegnò ad usare il mignolo, facendo "slittare" la diteggiatura di un dito, escludendo l'indice.
Un flauto in legno di pero con il quale debuttai nel mio "battesimo del pubblico", accompagnato in duetto dal mio migliore amico, che coinvolsi nell'avventura, e di due coetanee alle percussioni.
Fu all'Hotel Principe di Piemonte, a Viareggio, durante un saggio con altri giovani strumentisti, non ricordo se del conservatorio o di un'accademia privata.
Conservo ancora la foto che ci immortalava, noi quattro sul palco di una sala di un'ambiente lussuosissimo, che fu scelta per illustrare l'articolo che comparve il giorno dopo sul giornale della zona.
Mi ricordo ancora lo stupore di trovarmi davanti ad un pubblico fatto di signore impellicciate e signori sfarzosamente vestiti e da mia madre, in un cantuccio in fondo, quasi vergognandosi del suo cappottino grigio e due ciabatte ai piedi, che mai e poi mai si sarebbe immaginata di capitare in un ambiente del genere.
Al mio arrivo a Darfo, l'anno dopo in estate, la banda di Darfo venne a suonare sotto casa mia.
Stava facendo il giro degli alberghi e il mio terrazzo dava sulla piazzetta di Montecchio di fronte ad un albergo oggi chiuso.
Fu mia madre (memore e orgogliosa dei miei illustri passati da musicista !) che mi fece balenare in testa l'idea di aggregarmi al gruppo.
In Banda già suonava il Raffaele, il flauto traveso (di lui e della sua amicizia ho già scritto in un altro post).
Ero appena arrivato, adolescente, in un ambiente, non dico sconosciuto ma tutto da scoprire, e tramite Raffaele colsi al volo l'occasione per inserirmi in un gruppo e continuare a coltivare la mia passione per la musica.
Naturalmente volevo suonare il flauto traverso.
Tra l'altro, in quel periodo, ascoltavo musica come quella dei Jethro Tull e Ian Anderson era un punto di riferimento per invogliare la gente a suonare quel meraviglioso strumento.
Passato un periodo piuttosto lungo di teoria (una volta usava così, si usava solo il flauto dolce) arrivò il momento dell'assegnazione dello strumento.
Non era scontato come adesso che ognuno si comprasse il suo strumento; in genere si usava quello della banda, chi voleva naturalmente se lo comprava, ma il primo approccio era sempre con uno strumento dell'associazione.
Era una sera delle prove, nella stanzina delle caldaie della vecchia scuola elementare, e intanto che gli altri si sistemavano fra i leggii in legno del palchetto a gradoni, il Mo. Salvini con accanto il Vittorio, mi chiamarono e mi mostrarono la custodia dello strumento che mi era stato assegnato.
Era un pò grossa per essere quella di un flauto ma la forma era un parallelepipedo di circa 15x15 cm di lato e mezzo metro di lunghezza.
Non l'avevo mai vista una forma così, di sicuro un flauto ci sarebbe stato benissimo, anche due, in lunghezza, senza smontarli.
Ancora prima di aprire la custodia il Mo. Salvini incominciò a dirmi quanto ero fortunato ad avere la possibilità di usare uno strumento nuovo (in effetti era stato appena acquistato) e di così grande importanza nella banda, con Vittorio che rincarava la dose entusiasta.
Aperta la scatola finalmente vidi lo strumento ma restai un tantinello sorpreso.
Quello strumento lì non l'avevo mai visto.
O perlomeno assomigliava ad altri già visti ma avevano tutti una forma molto diversa.
Era un sax soprano.
Il Mo. montò il bocchino e mi diede in mano il sax.
Nel momento in cui provai a mettere le dita sui tasti, il flauto traverso era già sparito dai miei pensieri.
Penso che il fatto che fosse nuovo di zecca, tutto luccicante, con quella meccanica così piena di leve, levette, tasti e tastini "oro e argento", influì non poco sul colpo di fulmine che mi colse.
Tempo dopo, passato l'esame del terzo anno del corso AMBIMA, il mio ingresso in banda con in mano il mio sax soprano, fu per me un'altro punto saliente della mia vita.
Col tempo ho capito che la scelta del Mo. era dovuta al fatto che con il mio indice sinistro ridotto a metà, quello era forse l'unico "legno" che potevo usare.
Avrà pensato di non "stravolgermi" troppo le aspirazioni da flautista assegnandomi un ottone (con il quale avrei risolto il mio problema di diteggiatura).
Sta di fatto che però non fu di nuovo facile re-imparare una diteggiatura facendo "slittare" ancora l'uso delle dita, solo che questa volta l'indice prendeva il posto del medio, il medio prendeva il posto dell'anulare e il mignolo andava a fare un lavoro che non centrava niente con quello che faceva con il flauto dolce.
Ma mi ero talmente innamorato di quel strumento che ero disposto a superare qualsiasi difficoltà.
Fu forse questo spirito d'iniziativa di "rompere" schemi mentali acquisiti sull'uso delle mani che mi spinse ad imparare a suonare la chitarra, pur non essendo affatto mancino, all'incontrario (con il manico a destra, non con le corde verso la pancia, naturally !).
Sempre a quell'epoca comprai una chitarra sgangherata di seconda mano per 20.000 lire e gli girai il ponticello e le corde.
Poi, da autodidatta, ho incominciato strimpellare quel tanto che bastava per andare in giro con gli amici a far baldoria.
Dopo 20 anni di sax (pochi col soprano e gli altri col tenore) la crisi di identità come suonatore di sax.
Non mi dilungo (per fortuna ! direte voi) sui motivi.
Meno di un anno di tormento lontano dalla banda e poi il mio approdo alle percussioni, fino ai giorni nostri.
E sono pienamente felice di questa scelta.
Suonare le percussioni mi da la possibilità di "sentire" la partitura che si sta suonando con una intensità emotiva che non ho mai provato quando ero concentrato a seguire una linea melodica con il sax.
Mi sento molto più "dentro" la partitura, posso apprezzare di più la struttura del brano e capirne meglio lo spirito.
Penso che l'unico, oltre ai percussionisti, che riesce a percepire la stessa cosa ed a capire cosa intendo sia il Mo. direttore.
Il percussionista è certamente impegnato a seguire una partitura specifica dello strumento, ma con il cervello "può" anche percepire l'intera struttura melodico/armonica del brano eseguita da tutti gli altri strumentisti.
Questo grazie al fatto che la sua mente non è impegnata ad elaborare tecnicamente il movimento delle dita e l'emissione del fiato su una linea melodica del suo strumento.
E in più è perfettamente cosciente (almeno, tutti gli altri lo sperano vivamente) della trama ritmica che pervade il momento musicale.
Non credo di essermi spiegato bene ma vi chiedo di credermi sulla parola; oggi sono stra-contento di suonare le percussioni.
Provo molta più soddisfazione di quando suonavo il sax.
Non è per il fatto di avere una capacità diversa di tecnica strumentale tra il sax e le percussioni.
Il mio talento arriva "fino lì" con le percussioni come arrivava "fino lì" col sax.
Ma oggi riesco a trovare nel suonare insieme agli altri un qualcosa in più.
Magari Saremo e Dam possono capirmi, anche se non hanno fatto 20 anni di strumento melodico come me.
O forse con l'età sono diventato più "fuori di zucca" del normale.
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