43 Bologna: attentato a Mussolini
Giunta la cartolina di precetto, come accadeva ogni qualvolta che veniva organizzata una manifestazione impegnativa a cui doveva partecipare la banda, i musicanti che non volevano passare per “disertori”, rischiando così anche il posto di lavoro, si ritrovarono in viaggio verso Bologna.
Sul treno fino a Brescia e poi su un camion militare fino alla meta, con l’unico conforto di “quattro gallette” e qualche fiasco di vino, si ritrovarono in un viale stracolmo di gente a suonare il solito repertorio.
Destino volle che si trovassero a poca distanza dal luogo in cui proprio in quel momento attentarono alla vita del Duce. I gruppi bandistici presenti alla sfilata vennero sollecitati a suonare per far sì che la folla capisse la non gravità del fatto dato che Mussolini era stato colpito solo di striscio, ferendosi lievemente.
Nel trambusto che inevitabilmente segui, uno dei nostri musicanti fu comunque malmenato dietro ad un portone. Tornato a casa dopo la disavventura, a quanti gli chiedevano come fosse andata a Bologna, soleva rispondere in modo sintetico, con quattro parole nel nostro dialetto: fam, curì, sunà e pète (fame, correre, suonare e botte), esprimendo così le sue impressioni personali sul servizio in onore a Mussolini.
IL RITORNO DA BOLOGNA
Durante il viaggio di ritorno da Bologna, dove si erano recati a suonare proprio il giorno in cui in quella città venne fatto l’attentato a Mussolini, i bandisti si fermarono, stanchi ed affamati, al Castello di Brescia per il pernottamento.
Accadde però che i “papaveri” (le autorità fasciste erano chiamate cosi in quel periodo parafrasando la nota canzone “Papaveri e papere”) se ne andarono in albergo per cenare, riparandosi così dalle intemperie abbandonando la banda sotto la pioggia ed al freddo; in queste condizioni i musicanti, bagnati fradici, avuto l’ordine dal segretario politico fascista, il sig. Rusconi, tentarono di ripararsi dal gelo dando alle fiamme tutti i tavolini e le sedie a portata di mano. Trascorse poco tempo che al Comune di Darfo giunse l’ordine di pagare il conto per i danni arrecati.
Questo aneddoto vuole evidenziare come la partecipazione alla banda non era sempre un divertimento, ma, dovendo fare cose controvoglia, spesso diventava un sacrificio.